Concentrazioni percentuali così elevate di colture arboree in zone per lo più ristrette rappresentano una condizione ottimale per il loro sfruttamento energetico. Tuttavia, tali residui sono spesso semplicemente smaltiti in campo, bruciati o interrati, con conseguenze negative per l’ambiente e per lo stato fitosanitario del terreno. Per valorizzare al meglio questi prodotti, sarebbe, invece, opportuno sviluppare una adeguata filiera agro-energetica che potrebbe offrire una concreta opportunità economica per gli agricoltori. Affinché ciò sia davvero realizzabile è essenziale che i costi di raccolta non eccedano il limitato valore del prodotto stesso. La meccanizzazione gioca un ruolo fondamentale e deve essere in grado di rispondere alle molteplici condizioni che caratterizzano gli areali di produzione delle diverse colture. Infatti, quantità, epoca, tecniche di potatura e modalità di gestione dei residui delle principali colture arboree si differenziano sensibilmente da regione a regione in relazione dell’elevata variabilità delle forme di governo, dei sesti di impianto e delle pratiche agronomiche ed ambientali. Da un punto di vista agronomico, la potatura dei fruttiferi, in genere, produce frasche, o sarmenti nella vite, e rami di pezzatura maggiore, in quantità variabili in relazione alla varietà e alla forma di governo. La legna più spessa viene raccolta a mano ed utilizzata all’interno dell’azienda o venduta come combustibile per il riscaldamento. Le operazioni meccaniche, invece, prevedono la loro raccolta secondo due possibili schemi: imballatura, stoccaggio e successiva cippatura o cippatura diretta in campo. Nel primo caso, in funzione della densità di impianto, possono essere utilizzate piccole imballatrici parallelepipede o rotoimballatrici. Nel secondo caso, si utilizzano trinciacaricatrici (semoventi o applicate ad un trattore), che convogliano il materiale cippato in grandi sacchi di tela, in cassoni integrati alla macchina o su rimorchi agricoli.
Allo stato attuale le macchine presenti in commercio per la raccolta delle potature derivano da comuni macchine agricole destinate ad altre lavorazioni. La scelta di un modello rispetto ad altri dipende non solo dalle caratteristiche del campo di lavoro, ma anche dalla necessità di ottenere un materiale trinciato più o meno raffinato in base alla destinazione d’uso finale. Negli ultimi anni la tematica della meccanizzazione della raccolta delle potature è stata affrontata in diversi lavori di autori soprattutto italiani che hanno valutato sia i cantieri disponibili che la qualità del prodotto ottenuto (Spinelli et al., 2012; Magagnotti et al., 2013). Quest’ultimo aspetto è fondamentale affinché in impianti preposti possa avvenire un corretto recupero energetico dai residui. Ad esempio, in un recente studio condotto dal CRA-ING in un oliveto in Puglia, il cippato prodotto dalle principali macchine commerciali testate è risultato avere caratteristiche idonee alla combustione in impianti di media-grossa taglia (Acampora et al., 2013). Tali impianti, destinati alla produzione di energia termica e o elettrica, adottano soluzione tecnologiche che rendono possibile l’utilizzo di cippato avente granulometria non uniforme, con valori di umidità e contenuto di ceneri non trascurabili, tipici delle biomasse residuali del settore agricolo. Livelli qualitativi più elevati sono richiesti per le installazioni di taglia ridotta, o in processi di recupero energetico diversi dalla combustione. Gli sviluppi tecnologici degli ultimi anni, comunque, hanno reso disponibili apparecchi termici, anche di piccola taglia, in grado di utilizzare con elevati rendimenti anche le biomasse di potature. Non mancano, infatti, anche in Italia, esempi di installazioni al servizio di singole utenze o di minireti di teleriscaldamento, come nel caso di alcuni agriturismi, che si alimentano con i residui di potatura e, tra questi, si segnalano quelli annoverati tra gli esempi di buone pratiche del Progetto Biomasse dell’ENAMA[1] (casi studio n. 6, 15, 27, 28).
Accanto alla qualità, non va trascurata la continuità nel tempo della fornitura di biomassa. Il dimensionamento di una filiera sostenibile deve, infatti, considerare attentamente il potenziale in termini qualitativi, quantitativi ed anche temporali. Una indicazione di massima sull’entità dei residui di potature per unità di superficie, che si rendono disponibili nel corso dell’anno, è riportata in figura 3.
Figura 3 – Disponibilità dei residui di potatura nell’arco dell’anno in relazione alle diverse colture per unità di superficie
Fonte: elaborazione su dati di Di Blasi et al., 1997 e Garcia et al., 2007
In particolare, nel grafico si evidenzia un elevato potenziale cumulativo, composto dal contributo di diversi frutteti (olivo, vite, melo, pero, pesco e albicocco) da gennaio a marzo, con un progressivo decremento all’avvicinarsi della stagione primaverile. Nei mesi di giugno e luglio, invece, prevalgono le potature degli agrumeti e dei ciliegi con le potature di formazione. Durante il periodo estivo fino al tardo autunno non vengono effettuate potature (ad eccezione delle zone del sud Italia a clima mite, dove la potatura dell’olivo può essere eseguita contemporaneamente o subito dopo la raccolta), pertanto, in questo periodo lo stoccaggio, essenziale per portare la biomasse a tenori di umidità idonei alla combustione, esplica anche una funzione tampone nella distribuzione della fornitura durante il corso dell’anno.
[1] http://www.enama.it/it/biomasse_documenti.php